Migrazioni femminili e nuove forme di alterizzazione
Résumé
Durante gli anni Ottanta, l’approfondimento della partecipazione delle migranti, e delle donne in generale, al mercato del lavoro ha fatto emergere la figura della donna-migrante-lavoratrice. Questi studi hanno svelato il contributo femminile economico fondamentale, celato fino a quel momento dietro la figura dell’uomo-migrante-lavoratore. L’osservazione della presenza delle donne negli spazi migratori produttivi ha stimolato la rottura della rappresentazione della mobilità come pratica maschile e ha reso inadeguata la spiegazione derivata dagli schemi teorici elaborati attraverso la logica del “ciclo migratorio”, ossia sulla successione dei sessi (prima gli uomini e poi le donne), delle generazioni (prima gli adulti e poi i bambini) e del tipo di integrazione (prima economica e poi culturale). Ma, i modelli interpretativi sono restati a lungo ancorati ad una visione “neutra” dei fatti migratori. La maggior parte degli studi è stata realizzata facendo riferimento ad una visione etnocentrica e androcentrica e, anche quando sottolineavano la consistenza numerica del fenomeno, i concetti e gli schemi interpretativi ritenevano la migrazione femminile come specifica ed eccezionale rispetto alla norma maschile. Nel corso degli anni Novanta, lo sguardo portato dalla prospettiva di genere sulle migrazioni complessifica e rinnova questo quadro interpretativo. La visibilità delle donne nei flussi migranti richiama all’attenzione l’asimmetria e la discriminazione a svantaggio del genere femminile e spiega come la posizione delle migranti è anche connessa alla logica dei rapporti sociali di sesso, che si esprimono simultaneamente nell’attività domestica e in quella professionale. All’interno di questo quadro, un posto particolare è occupato dagli studi sul lavoro di cura svolto dalla maggior parte delle migranti. Essi hanno mostrato che esso prende forma all’interno di un campo di relazioni femminili dove si creano forme di etnicizzazione e alterizzazione inedite.