Nell’acquerello conservato nel seminario di Molfetta, l’immagine della celebre tomba delle danzatrici di Ruvo, entrata nella cultura archeologica e iconografica, è una evidente costruzione pittorica di affermazione di un’identità. Uno dei problemi significativi, nel confronto misurato con l’opera, è la formulazione della questione della corrispondenza fra strutture pittorica e memoria informativa. Occorre chiedersi se l’ampliamento di un orizzonte comunicativo costituisca una trasposizione visiva, con un indice di consapevolezza e metro di misura, o presupponga una strategia mediatica e quindi pubblica, di una scrittura di invenzione, atto di omaggio verso un documento archeologico, fonte di fantasie e di rappresentazioni. Ben diverso il codice pittorico e culturale di Francesco Netti, con una potenzialità strutturale della danza intrecciata e un procedere metaforico e creativo che rigenera il senso, attualizza e aumenta la complessità della citazione archeologica. Nelle differenze storico-culturali che emergono nelle ricontestualizzazioni operate, la ricreazione artistica è indubbiamente produzione di messaggi e confronto tra culture: dalla tradizione antiquaria dell’acquerello di Molfetta, che presuppone un supporto complementare di dati d’archivio e di memoria, alla peculiare logica e suggestione corale del coro antico che esce dal tempio, che impegnò l’intellettuale del sud (c. Farese Sperken) per circa due anni e fu realizzata per l’esposizione nazionale del 1877 di Napoli. La lettura delle opere che riflettono lo spazio pittorico della tomba di Ruvo mette in evidenza come la funzione del ricordare non sia semplice recupero del passato con il ricorso alla finzione narrativa ed occorre aggiungere come l’interazione tra rappresentazione e documento archeologico non sia ricordo contestualizzato dell’antico, nell’ obbligo di una fedele documentazione, ma ricognizione per ambiti tematici che confondono le tracce. Nel suo studio critico, a tale proposito, Francesco Netti osserva come la memoria culturale sia ricostruttiva: «il carattere locale che spesso è ammirevole in questi quadri di soggetto antico è piuttosto il carattere locale che noi c’immaginiamo che l’antichità dovesse avere, anziché quello che in realtà aveva.