I romanzi di Grazia Deledda offrono un ritratto dettagliato delle condizioni di vita in Sardegna alla fine dell’Ottocento. Spiccano in particolare, per la loro varietà, i personaggi femminili: appartenenti a classe sociali diverse, originarie di paesi poveri e isolati o residenti a Nuoro, dove era nata la scrittrice, le donne raffigurate da Grazia Deledda sono contadine, usuraie, viandanti, umili serve o nobildonne. Il loro destino è segnato dal peso delle tradizioni e delle superstizioni, che le costringono a rimanere all’interno dello spazio domestico, di cui possono uscire soltanto per le funzioni religiosi, le feste in occasione delle processioni a santuari lontani essendo le uniche eccezioni gioiose a una vita fatta di faccende domestiche quotidianamente ripetute. Quelle che rifiutano il ruolo assegnatole dalla tradizione, come Donna Lia in Canne al vento, o infrangono le regole, come Olì in Cenere, sono condannate all’esilio o universalmente disprezzate e rigettate. Concentrarsi sui personaggi femminili creati da Deledda è tanto più interessante che la scrittrice stessa aveva fatto di tutto per lasciare Nuoro, dove i suoi esordi letterari erano invisi ai propri familiari, trasferendosi prima in città, a Cagliari, e poi a Roma, con il marito. Ci proponiamo di analizzare il percorso dei personaggi femminili deleddiani sia nei primi romanzi pubblicati dopo il matrimonio (Elias Portolu, 1903, Cenere, 1904), che nei romanzi della maturità (L’edera, 1912; Canne al vento, 1913 e Colombi e sparvieri, 1921). Centrale, in questi romanzi, il senso di colpa e l’impossibile riscatto che ne deriva, i quali condannano i personaggi femminili a pagarne le conseguenze, anche quando non ne sono responsabili.